Memoteca Pian del Bruscolo

Conservazione della memoria e tecnologie dell’informazione

Michele Catozzi - Responsabile dell’Ufficio Gestione Telematica della Provincia di Pesaro e Urbino

 

Come a volte accade, anche l’archivio on-line della Memoteca è nato, non dico casualmente - che le vie del caso sono sempre spianate dal lavoro appassionato delle persone - ma grazie a una fortunosa coincidenza.

Quando venne chiesto alla Provincia di ospitare nelle proprie strutture telematiche l’archivio della Memoteca, stavamo infatti lavorando alla messa a punto di un portale provinciale dove rendere fruibili on-line collezioni documentali, in particolare, ma non solo, raccolte fotografiche. Fu per questo che guardammo subito con simpatia al progetto della Memoteca, sia condividendone in toto le motivazioni culturali di fondo, sia (più biecamente) intravvedendo la possibilità di testare il lavoro fino ad allora da noi svolto.

Ecco dunque come, dall’idea iniziale di una classica, semplice, galleria fotografica on-line, si è arrivati all’utilizzo di un vero e proprio sistema di gestione di collezioni digitali, dotato di tutte le funzionalità atte a trasformare una giustapposizione di foto in un insieme strutturato e scientificamente validabile di documenti elettronici.

Il vantaggio di un tale approccio è la possibilità di creare un grande archivio virtuale (idealmente illimitato) ove far confluire documenti digitali i cui originali, solitamente cartacei, si trovano dispersi in una molteplicità di archivi o, spesso, in inedite - e per questo più interessanti - collezioni di famiglia. Lo strumento informatico - che non è mai realmente neutrale, checché se ne dica - in questo caso è particolarmente virtuoso perché consente di ricreare in digitale quella unità di luogo e di spazio che certamente archivi “dispersi” non possono garantire per ovvi materiali impedimenti. Una operazione per certi versi simile, si potrebbe notare, alla realizzazione di pubblicazioni cartacee tematiche (tipicamente in occasione di mostre o eventi particolari), in cui si selezionano una serie di documenti da mostrare/pubblicare. Simile, ma con una fondamentale differenza: il suo equivalente digitale ha il vantaggio evidente di essere più flessibile, perché facilmente modificabile e incrementabile nel tempo, fruibile da fasce molto più ampie di persone (teoricamente chiunque sia connesso alla Rete) e, non ultimo, potenzialmente esaustivo in quanto lo spazio non è “tiranno” e non si è più costretti a “lasciar fuori qualcosa” (cruccio terribile di tanti curatori di libri).

Lo strumento che permette tutto ciò è un software dal nome evocativo: Greenstone (www.greenstone.org). E’ stato sviluppato dall’Università di Waikato nella Nuova Zelanda, che lo ha poi reso disponibile con una licenza “libera”, vale a dire che esso non appartiene a qualcuno in particolare ma tutti possono contribuire al suo sviluppo, usarlo, migliorarlo e scambiarlo liberamente. Un effetto collaterale di questo tipo di licenza è che non costa nulla. Tra l’altro Greenstone è stato adottato dall’Unesco come software di riferimento per la creazione di collezioni digitali (biblioteche e archivi on-line).

Nella scelta di Greenstone hanno pesato una serie di fattori. Innanzitutto la sua caratteristica di software libero, che ci consentiva non solo, come dicevamo, di risparmiare costi di licenza - e di questi tempi è un aspetto da non sottovalutare -  ma anche di integrarlo facilmente nelle strutture telematiche provinciali che da anni prediligono l’uso di software libero.

 Altro aspetto importante era l’utilizzo di formati standard e aperti: la banca dati che avrebbe costituito la Memoteca non sarebbe stata “chiusa” all’interno di formati proprietari di qualche “corporation” del software ma sarebbe sempre rimasta accessibile senza l’ausilio di software particolari grazie all’uso dell’XML (un formato internazionale puramente testuale). In altre parole, l’uso di Greenstone avrebbe salvaguardato la conservazione nel tempo della Memoteca consentendoci, se e quando avessimo voluto, di “migrare” con poco sforzo tutte le informazioni in un sistema differente. E questo, di conseguenza, avrebbe semplificato la realizzazione di strumenti automatizzati di conversione per l’interscambio e la condivisione di informazioni con altri analoghi progetti.

Altro fattore decisivo: la possibilità di raggiungere il giusto equilibrio tra la correttezza formale e scientifica delle descrizioni della Memoteca (i cosiddetti metadati), la semplicità di gestione degli stessi tramite una interfaccia per l’operatore intuitiva e non troppo complessa, e la facilità di accesso e consultazione da parte degli utenti.

Nel caso della Memoteca, per la struttura della banca dati (e i relativi metadati) si è deciso di fare riferimento a uno standard internazionale di descrizione degli archivi documentali, l’ISAD(G) - General International Standard Archival Description. Essendo l’ISAD uno standard descrittivo (utile soprattutto per i cosiddetti “indici”) che lascia grande libertà all’archivista, abbiamo aggiunto una serie di campi strutturati utili per ricerche più analitiche; un esempio per tutti: si consideri la differenza tra l’uso di un campo ISAD descrittivo “Ambiti e contenuto” che reciti: La fotografia è stata scattata all’esterno di una osteria di Montelevecchie tra il 1920 e il 1925 e ritrae, tra gli altri, Ausilio Bernardi e Mario Macchini e l’uso di campi strutturati: Data: 1920-1925; Contenuto^Luogo: Montelevecchie; Contenuto^Categoria: foto di gruppo; Contenuto^Soggetto: bar-osteria – abbigliamento; Contenuto^Persona: Bernardi, Ausilio - Macchini, Mario. E’ evidente che nel secondo caso sarà molto più semplice ricercare informazioni nella banca dati (ad esempio tutte le foto che ritraggono Mario Macchini, oppure tutte quelle ambientate nelle osterie, o ancora tutte le foto di gruppo scattate a Montelevecchie).

E’ giunto però il momento di lasciare che sia l’archivio della Memoteca a parlare da sé.

Mi sia consentita solo un’ultima annotazione: in quest’epoca in cui la “globalizzazione” è - spesso a ragione - indicata come la causa del livellamento delle culture locali, è proprio grazie alla “globalizzazione” nello sviluppo cooperativo del software, se dalla lontanissima Nuova Zelanda è potuto giungere uno strumento che ci aiuta a salvaguardare la memoria di un nostro piccolo, ma per noi significativo, territorio.

 

 

 

 

 
Testi rilasciati sotto la licenza Creative Commons "Attribuzione Non commerciale Condividi allo stesso modo" 2.5 Italia Creative Commons
© 2006-2007 Unione Pian del Bruscolo Info - Gestito con docweb