Memoteca Pian del Bruscolo

21 gennaio 1944, lo scoppio della polveriera di Montecchio

Montecchio dopo lo scoppio nelle immagini di Emma Parola (raccolta Anna Capponi Donati)

Il 21 gennaio 1944, intorno alle 21.10, la borgata di Montecchio è distrutta dallo scoppio di mine ed esplosivi accatastati dal dicembre 1943 presso il Campo Boario e la sede del Dopolavoro. A tutt’oggi non è accertato il numero delle vittime, che secondo i testimoni e i ricercatori furono almeno una trentina. Per molti, nel nostro territorio, lo scoppio di Montecchio resta l’episodio più duro della II guerra mondiale, un ricordo tra i più vivi, anche perché uno dei più raccontati e indagati: ne facciamo memoria ancora una volta attraverso le parole di don Giovanni Gabucci, che ci sono state segnalate da Alberto Cudini, e tre immagini prese da Emma Parola (1890-1968) poco dopo lo scoppio della polveriera, conservate nella raccolta di Anna Capponi Donati. Un'avvertenza: le immagini positive (a destra, sotto) sono una simulazione ottenuta al computer dai negativi su carta, sul retro dei quali si legge la scritta "21/1/44 - ore 21,30", di mano della fotografa.

 

Egregia Sig.a Rizzi Chiari Bice - San Costanzo, Presso il Dr. Malandro

E' nobile e giusto il suo desiderio di apprendere qualcosa della sciagura di Montecchio, ed io con lo schianto nel cuore le darò una pallida idea del disastro.

Da qualche tempo i soldati tedeschi si sono accampati a Montecchio per la costruzione di trincee per la difesa della vallata del Foglia, ed avevano fatto un deposito di esplosivi nei sotterranei del dopolavoro. Dopo il primo bombardamento di Pesaro fecero un nuovo deposito sul campo della fiera vigilato da sentinelle italiane disarmate.

La sera del 21 gennaio verso le 21,30 un soldato tedesco scoprì una lingua di fuoco nel campo della fiera, ove era stato fatto un ingente deposito di esplosivo per la difesa della Valle del Foglia. Diede subito l'allarme e per fortuna non essendo l'ora molto tarda, gran parte della popolazione fece in tempo ad uscire dalle proprie case per mettersi in salvo.

Ma fu cosa di pochi momenti perché lo schianto della esplosione fu così forte e violento che polverizzò le case attigue, e di fronte al dopo-lavoro, le case di Rossi, Fabrizi, la scuola; distrusse e frantumò quelle del monte (compresa la casa di Gennari, la canonica e la chiesa parrocchiale) e del Borgo fino al principio della via Provinciale. Scoperchiò i tetti ed atterrò i canterti delle case di Via Provinciale e delle Grotte, provocando anche diversi incendi.

Pochissime sono le case abitabili agli estremi del paese e si può dire che tutto Montecchio è un cumulo di ruine.

Quando ho visto la casa, martedì scorso, non ho potuto trattenere le lacrime a mano a mano che mi inoltravo fra le ruine, e incontravo i superstiti ricoperti di poche vesti lacere, perché tutto è stato travolto e distrutto nel disastro.

Si contano circa un 70 feriti e le vittime ascendono fino ad oggi a 26 fra cui alcuni sfollati e 4 militari.

Lo spostamento d'aria prodotto dallo scoppio è stato così potente che ha danneggiato anche diverse case dei paesi vicini, ed anche da noi a Ginestreto e Monteciccardo ha rotto molti vetri, ha spalancato porte ed ha atterrato muri in foglio…senza però fare delle vittime. Di coloro che mi chiede sono quasi tutti salvi, ad eccezione del Carissimo Sig. Romolo Rossi che ebbe frantumate le gambe e fu trasportato in Urbino, ove morì fra strazi atroci. Sono pure morti Pietro Sabbatini e la Consorte, la moglie di Bassani, l'Irma Bezziccheri commerciante in tessuti, Clementoni Giovanni e il Notaio Marchionni che era sfollato da Pesaro.

La Signora Burani ha avuto anch'essa la casa distrutta; però ha potuto recuperare tutti i valori della Posta ed ora è andata col marito ad Isola del Piano. Avendola vista di passaggio quassù le ho detto di Lei, mi ha ringraziato e incaricandomi di salutarla, promise di scriverle dalla sua nuova sede. (Provvisoriamente la ricevitoria postale di Montecchio è stata soppressa).

La Levatrice e Fabrizi si sono salvati per miracolo: ma della loro casa non hanno potuto trovare più nulla.

Morotti Serafino ha avuto il tetto crollato e si è rifugiato nel piano terreno che, essendo di cemento armato ha resistito al crollo.

Dopo lo scoppio sono venuti sul posto anche Sua Eccellenza il Prefetto ed il Vescovo di Pesaro che sono tornati anche martedì scorso per i funerali.

Le salme erano state deposte nella chiesina di San Michele rimasta incolume. Qui fu portato anche il cadavere del Sig. Romolo Rossi e 7 salme portate su da Pesaro restarono nel camion fermato di fronte alla chiesa. Celebrò la Santa Messa il Rettore Marcelli e le Esequie furono fatte da Monsignore il Vescovo. Il trasporto al cimitero fu effettuato con tre camion ove furono caricati i feretri.

E' una desolazione ed un pianto vedere gli scampati aggirarsi fra i ruderi della propria casa per vedere di potere ritrovare qualcosa di ciò che tenevano con tanta cura.

Speriamo che Montecchio abbia a risorgere; ma non certamente fino a che dura questo stato di cose, perché tutto il terreno circostante è una trincea; ed ora il Genio Civile s'impossessa di tutte le cose, di tutto il materiale recuperabile per restaurare le case meno offese. Ho creduto mio dovere aggiungere la Sua gentile offerta alla sottoscrizione aperta in favore dei sinistrati, che è ascesa a tutt'oggi ad oltre 13 mila lire, e la ringrazio anch'io a nome di tutti.

Non credo di averla annoiata con questa mia lunga lettera, perché so che è vivo in lei il desiderio di sapere notizie di quel caro Paese che l'ha avuta per qualche anno fra le sue mura.

Ringraziando Iddio, di salute sto bene benché affranto dal lavoro e dalla tristezza della circostanza. Da noi, per lo sfollamento da Pesaro la popolazione è più che raddoppiata ed hanno occupato anche la cappella dei Caduti in cui ufficiavo io per metterci gli sfollati del porto.

Mi perdonerà se per mancanza di tempo ho dovuto mettere giù la presente un po' per volta.

Mi ricordi con caro affetto all'Egregio Dottore e Lei, Buona figura gradisca i miei rispettosi ossequi. 

S. Angelo in Lizzola 29 gennaio 1944, don Giovanni Gabucci

 

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